martedì 18 dicembre 2012

RPG, 2^ tappa: Fallout

A dispetto del titolo, questo capitolo non potrà limitarsi a parlare di una singola serie e di ciò che le fu immediatamente vicino. Dopo il primo The Elder Scrolls il mondo degli RPG si preparò a un salto fondamentale, che diede di colpo una faccia completamente nuova al genere. Per parlare di cosa significò Fallout, però, bisogna prima colmare il (breve) vuoto che lo collega a dove eravamo rimasti.

Apro una piccola parentesi ora, alla prima occasione che ho per parlarne, per non dovermi ripetere ogni volta che se ne ripresenterà l'occasione. Quasi tutti i generi di giochi sono legati a pochi paesi produttori (uno o due tra Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Inghilterra, principalmente); esistono ovviamente sviluppatori praticamente in ogni paese occidentale, ma molti di essi producono giochi ignoti e quasi sempre qualitativamente inferiori alle "grandi produzioni" che entrano nella storia. Per gli RPG questo discorso stranamente non vale, visto che nel corso degli anni in ben più di un caso titoli che sulla carta potrebbero dare l'idea di rientrare in pieno in questi giochi "minori" sono stati acclamati universalmente come apici del genere.

Se prendiamo ad esempio la serie di Realms of Arkania, sviluppato dai tedeschi di Attic Entertainment Software, troviamo tre titoli non solo di pienissima qualità, ma anche molto veloci a cogliere le ultimissime novità: il primo capitolo della serie, Blade of Destiny (aprile 1992), benché ancora legato ai due vecchi modelli di RPG li metteva insieme perfettamente, con un sistema di esplorazione "personale" e uno di combattimento "di gruppo"; il secondo capitolo, Star Trail (settembre 1994), contava in aggiunta su un sistema di esplorazione a movimento libero, non "casellato", come da sempre era stato negli RPG in prima persona; lo stesso vale per il terzo capitolo, Shadows over Riva (dicembre 1996), che in più godeva di una grafica nel complesso ottima, con un 3D dall'aspetto omogeneo e molto ben texturizzato.


Questo dei Realms of Arkania è solo un esempio, tanto di RPG di un paese non storicamente famoso per i videogiochi quanto di alcuni titoli tipici di questo genere del periodo che stiamo considerando. In generale, per gli anni che vanno dal 1994 al 1997 si può dire che non furono moltissimi gli RPG occidentali a venire prodotti (direi che rispetto al decennio precedente il numero calò sensibilmente), più che altro perché il vecchio modello D&D andava perdendo di inerzia ma non c'era ancora una nuova "tipologia standard" di RPG che permettesse uno sviluppo massivo del genere.

La cosa più curiosa è che da un punto di vista tecnico questo nuovo standard in realtà non arrivò mai, sia perché ce ne fu sempre più di uno contemporaneamente, sia perché andando avanti negli anni il numero degli standard stessi aumentò, e diminuì il numero di titoli ad essi ascrivibili, fino alla quasi individualità tecnica di ogni serie a cui siamo arrivati da cinque anni a questa parte (il "genere di eccezioni" di cui parlavo a inizio capitolo). Un nuovo standard, però, arrivò eccome. Ma era qualcosa di talmente nuovo e unico che ancora oggi si fa fatica a leggerne l'importanza nel contesto.


Chi ha giocato un po' con un pc nella seconda metà degli anni '90 non può non ricordare neppure uno dei tanti RPG isometrici che da Fallout (settembre 1997) in avanti riscossero tanto successo, raggiungendo l'apice con Baldur's Gate II (settembre 2000) per poi scomparire lentamente. Ma adesso, per spiegare finalmente l'importanza assoluta di Fallout, passiamo ai due titoli principali di oggi.

(Per inciso, sto guardando, per ovvie ragioni tecniche, temporali e produttive, ai soli primi due Fallout; i titoli più recenti prodotti e/o sviluppati da Bethesda sarebbero assolutamente fuori contesto in questo discorso, pur sforzandosi di mantenere alcuni elementi in qua e là degli originali.)


Rispetto agli RPG precedenti Fallout non introduce novità particolari, nessuna in termini di sistema di bilanciamento; ma è capace di dare un nuovo senso al gioco nella sua totalità. Quello che si perde, e si nota subito, è la sensazione di essere in un gioco da tavolo vecchio stile, principalmente per via dell'ambientazione e del piglio con cui la trama è trattata. Fallout non è retorico, né epico; è eccessivo dire che è comico, ma delle due si avvicina più a questa soluzione, piazzandosi come minimo sul sarcastico. Non sto parlando di qualche momento particolare, ma di tutta un'atmosfera completamente diversa in cui ci si muove: in Fallout si ha parecchia libertà riguardo alla personalizzazione non solo fisica del personaggio, ma anche psicologica. Le alternative di dialogo (che non saprei dire se in questa forma siano state proprio inventate qui o solo usate sapientemente per la prima volta) permettono di immaginarsi un personaggio con una personalità, di immedesimarsi nella storia ad un nuovo livello, senza più dover interpretare la parte di qualcuno, bella o brutta che fosse stata scritta. A permettere questo è il contesto "neutro" in cui ci si muove: sono spariti bene contro male, ordine contro caos; non è più tanto facile definire cosa è giusto e cosa no, ma soprattutto non si viene più incentivati a farlo. La realtà di Fallout è psicologicamente molto più interessante di qualsiasi universo high fantasy, con un mondo eterogeneo e maggiori possibilità di formarsi delle proprie simpatie o antipatie a livello umano, personale, che vanno oltre al gioco stesso; al giocatore vengono fornite una situazione, la possibilità di elaborare una risposta e quella di applicarla nell'universo di gioco (benché chiaramente con qualche limite). In sostanza, è l'abbandono dei panni di un eroe a vantaggio di quelli di una persona che si trova a dover compiere qualcosa di fuori dall'ordinario.

Penso che quello degli RPG sia stato un caso unico in tutto il mondo dei videogiochi; un genere che improvvisamente si è evoluto non in termini di gameplay, ma di rapporto col giocatore, aprendo in un attimo un orizzonte sconfinato. Ben presto questo rapporto ha preso le redini del carro, e il gameplay, per diversi anni, è stato solo un traino. Credo che questo sia anche il motivo, a più di dieci anni di distanza dai primi RPG moderni, del perché questo genere continua a sfornare titoli di successo, senza mai conoscere uno stallo o una regressione: si muove su un doppio livello, tecnico e psicologico, e quindi anche se uno dei due è un po' carente l'altro è spesso sufficiente a risollevare tutto quanto. Gli RPG hanno una marcia in più perché possono colpire in più modi contemporaneamente chi li gioca, mentre un qualsiasi altro titolo ha solo un colpo in canna, e paga ogni millimetro di cui manca il centro del bersaglio.

Questo si evidenzia bene in Fallout 2 (settembre 1998), che rispetto al suo predecessore è allo stesso tempo uguale e completamente diverso. Il gameplay dei due, tecnicamente, è pressoché identico, al punto che bisogna impegnarsi non poco per trovare lievissime differenze. Dal punto di vista umano, d'altra parte, Fallout 2 completa il processo di apertura al giocatore lasciato a metà nel primo titolo. L'ambientazione è ancora più stimolante, con città completamente diverse tra loro dal punto di vista civile ed etico; c'è anche più ordine nelle quest, e un generale minore senso di abbandono all'esplorazione più casuale, che non intacca il senso di libertà, anzi, aiuta a dare l'impressione che tutto quello che si fa abbia un fine, e non siano solo le perigrinazioni di un esiliato dal proprio mondo.


Fallout ha fatto scuola, e la sua formula di gameplay è stata ripetuta con grande successo per almeno tre anni dopo la sua uscita. Ma è il suo approccio col giocatore, il suo permettere di personalizzare non solo un'avventura, ma una storia, ad avere superato quelle che nel mondo dei videogiochi si possono tranquillamente definire "barriere del tempo", anche se materialmente stiamo parlando di poco più di 15 anni. E' questa la vera costante degli RPG moderni, la vera definizione del nuovo genere, che si porta ancora addosso il vecchio sistema di gioco un po' per abitutide e un po' per affinità con la possibilità di scelta che offre, complementare a quella teorica della costruzione del titolo. E' la "scelta", nel senso morale del termine; in ogni RPG degno di questo nome abbiamo la possibilità di fare le cose a modo nostro; persino di oscillare tra buono e cattivo, in qualche caso.

Tra le altre cose, è per questo motivo, oltre che per alcune differenze tecniche di fondo non trascurabili, che non considero Blood Omen (novembre 1996) un RPG, anche se a volte così viene classificato. Ma Legacy of Kain me lo tengo in caldo per un'altra volta, non vi preoccupate...

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