domenica 9 giugno 2013

Appendice 1, pagina 3: Shadow of the Colossus

Forse qualcuno ha notato che in questa sezione d'appendice oltre che su giochi orientali mi sto concentrando solo o quasi su esclusive storiche Sony. Non è una scelta voluta apposta, ma dubito si potrebbe fare molto diversamente. Non solo perché Sony ha caratterizzato buona parte della cultura videoludica occidentale negli scorsi due decenni, ma anche - e soprattutto - perché la sua influenza è profondamente radicata ancora oggi, magari in Europa più che in America.

Senza divagare troppo, Shadow of the Colossus e in generale tutti i titoli di Team Ico (all'oggi due, con un terzo previsto per i primi mesi di PlayStation 4) sono un ulteriore modo per mostrare le "tante culture" promosse da Sony. Da una parte c'è Final Fantasy, che è quello che tutti sappiamo essere. C'è poi Silent Hill (già dal secondo episodio non più in esclusiva, ma comunque nato su PlayStation e ad essa sempre in qualche misura legato), che è ovviamente una cosa molto diversa. E c'è anche Metal Gear, quella sì serie storicissima di Sony, allargata a Microsoft giusto da un titolo a questa parte; che è, va da sé, un'altra cosa ancora. E alla fine (si fa per dire, anche perché l'elenco potrebbe andare avanti) c'è Team Ico, che è ancora una volta completamente diverso sotto ogni punto di vista. Quattro giochi di stampo chiaramente orientale, quattro giochi addirittura tutti promossi e/o riservati da Sony, ma quattro risultati agli antipodi.

In definitiva, non sto facendo pubblicità, fanboysmo né altro. Sto solo dando a Cesare ciò che è di Cesare, cioè a Sony il grosso della nostra cultura videoludica, soprattutto in termini di rapporti con l'oriente.



Passando al gioco in questione, mi sono chiesto se fosse stato davvero possibile parlare di Shadow of the Colossus senza parlare di ICO, suo predecessore spirituale (come minimo). La risposta è stata di sì, per la semplice ragione che anche se i due hanno evidenti punti in comune SotC ha tranquillamente tutta la forza per spiegarsi da sé, probabilmente anche meglio di ICO. Se il primo titolo in sostanza vive di atmosfera, di un'idea, sotto l'aspetto del gameplay è abbastanza originale, interessante se si vuole, ma molto "finito lì", nel senso che poco ha avuto da insegnare.

In termini di originalità, comunque, se con ICO eravamo in cima alla Torre Eiffel con Shadow of the Colossus siamo sulla Luna. Gioco uscito a fine 2005 (da noi a inizio 2006), questo è probabilmente l'Action-Adventure (e pronuncio questa definizione con molta cautela) più strano che si fosse mai visto. In tutto il gioco, i nemici che ci si trova ad affrontare sono 16. Non i tipi di nemici, proprio i nemici. Solo che ognuno è esageratamente curato, unico e dal design straordinario. E tendenzialmente grande come una palazzina. Si trattava di un'azzardo non da poco, perché credo mai, e intendo MAI, si era visto un gioco "d'azione" - in cui si ha un controllo totale e diretto sul personaggio - e improntato sul combattimento con una struttura simile. Il risultato è garantito dalla qualità intrinseca degli scontri, che con forse solo un paio di eccezioni impiegano una discreta dose di inventiva e abilità.

Ma non c'è solo questo. Shadow of the Colossus, perfettamente in linea con la scelta fatta riguardo ai combattimenti, crea un'unica, grande mappa da esplorare. Questo di per sé non è una novità (basti pensare ai vari Grand Theft Auto, giusto per fare l'esempio più ovvio), ma risulta molto interessante proprio in funzione dei Colossi. Perché anche l'ambientazione non è solo "grande", è imponente, maestosa, e letteralmente schiaccia il giocatore. Ci si muove quasi solo tra vallate, montagne e coste, ma non si ha mai l'impressione di stare girando in tondo. Ci sono un piccolo bosco, un paio di aree desertiche, una spianata di geyser e alcuni laghi; in ognuno di questi posti non si ha mai la sensazione di "già visto", né rispetto ad altri ambienti del gioco né rispetto a quello che generalmente si vede in un gioco. I pochissimi edifici presenti, tutti più o meno in rovina, sono anch'essi curati ad un livello spaventoso per l'epoca. Il mondo nel suo complesso dà chiaramente l'impressione di essere "a misura di Colossi", e questa non era affatto una cosa facile da ottenere, soprattutto pensando ai mezzi di allora (la PlayStation 2 aveva in totale 36 MB di RAM!) e al risultato a dir poco stupefacente. Forse Shadow of the Colossus non è il gioco graficamente migliore mai uscito per PS2, ma di sicuro vince il premio per la direzione artistica E la sua applicazione.


Ma ora arriviamo al merito di questa pagina, riportato nel titolo del link. Anche i sassi, oramai, sanno bene o male quello che ho scritto qui sopra, ma quasi nessuno si preoccupa di ricordare la trama di questo titolo. L'inizio è molto suggestivo: un giovane sta trasportando a cavallo il corpo immobile di una ragazza vestita di bianco. Arriva in un enorme tempio, dove posa la ragazza su una sorta di altare. Un flashback fa ascoltare quindi una storia che il giovane aveva sentito, il motivo per cui ora è lì: si dice che in quella terra proibita sia possibile far risorgere i morti. Il protagonista, Wander, vuole che l'amata risorga. La divinità di quel tempio, Dormin, gli parla, e gli concede di esaudire il suo desiderio, a patto che, grazie alla Spada Antica che il protagonista ha con sé, egli prima distrugga le 16 statue allineate nel salone. L'unico modo per farlo è uccidere tutti e 16 i Colossi corrispondenti, che si trovano nella vallata.

Wander comincia ad eliminare quindi tutti i Colossi. Ogni volta che uno di essi viene ucciso, un misterioso flusso nero di energia entra dentro a Wander, che si risveglia poi nel salone del tempio. Dopo aver eliminato un certo numero di Colossi si vede brevemente un gruppo di uomini guidati da uno sciamano mascherato percorrere la stessa strada verso la valle, e il protagonista viene avvisato da Dormin che essi vogliono fermarlo, e che deve fare presto.

Che Dormin sia un'entità non positiva è chiaro fin dall'inizio, ma cosa realmente sta succedendo lo si scopre solo alla fine, dopo aver eliminato l'ultimo Colosso. Wander si risveglia ancora una volta nel tempio, dove viene raggiunto dallo sciamano e dal suo seguito. Il giovane è però visibilmente cambiato: la pelle è quasi bianca, i vestiti sono laceri e dalla testa spunta un paio di corna da toro. Gli uomini rivelano che Wander ha rubato la spada dal villaggio apposta per compiere il suo progetto, ma che sta venendo usato da Dormin per permettere al dio di rinascere: i pezzi del "corpo" della divinità erano infatti custoditi nei Colossi, e ora si sono riunificati all'interno di Wander stesso, che nonostante venga trafitto da uno degli uomini del villaggio si tramuta in una gigantesca entità di ombra, la vera forma di Dormin. Lo sciamano riesce però, usando la spada, a lanciare un incantesimo che fa tornare Wander umano e poi lo trascina verso una vasca d'acqua, dove il protagonista ritorna un infante (ancora con le corna). Gli uomini tornano al villaggio e il ponte verso la valle crolla, rendendo impossibile accedervi o uscirvi. Tutto sembra finito per il peggio per il protagonista, ma qualcos'altro accade. Dormin, nonostante tutto, mantiene la sua promessa, e l'amata di Wander si risveglia. Raccoglie Wander, ora un bambino, e assieme al cavallo del protagonista si reca fino in cima al tempio, dove trova una specie di giardino dell'Eden in cui vivere.


La cosa più interessante è che per più volte durante il gioco Wander e il giocatore sono avvisati, più o meno direttamente, che il percorso che stanno seguendo è destinato a finire male. Dormin da subito avvisa il giovane che per riportare in vita la ragazza dovrà sacrificare molto. I "flussi neri" che fuoriescono dai Colossi non danno per nulla l'impressione di essere un buon segno. Ogni volta che Wander viene riportato al tempio un gruppo di uomini d'ombra (sempre lo stesso numero dei Colossi uccisi fino a quel momento) veglia sinistramente sul protagonista, per poi svanire non appena egli si risveglia. Più difficile da notare, ma di grande effetto, è anche la lenta mutazione d'aspetto dello stesso Wander. Dopo lo scontro con ogni Colosso qualcosa infatti cambia: un vestito si lacera, la pelle cambia leggermente colore, i capelli si scuriscono. Sono passaggi molto graduali, che però portano all'aspetto finale distrutto e distorto del protagonista non di colpo.

Non si è autorizzati a dire "era imprevedibile", ma non si pensa a questa eventualità, anche per via della costruzione del personaggio. Wander appare per tutto il tempo come un eroe un po' "vuoto", di cui non sappiamo nulla se non che è disposto a tutto per riportare in vita la ragazza. E alla fine non si rivela neppure un vero eroe; egli ha rubato la spada ed è entrato dove gli era stato esplicitamente vietato di andare, finendo col dimostrare di avere completamente torto in tutte le sue scelte. Il suo sacrificio alla fine ottiene lo scopo voluto, ma lui ha perso letteralmente tutto, e persino la sua amata (e il suo fido cavallo Haro, che è considerabile a tutti gli effetti alla stregua di un personaggio) si ritrovano a vivere in quella terra maledetta, lontani dal resto del mondo per sempre.


Insomma, Shadow of the Colossus ha tante ragioni per essere ricordato. Questa non meno di altre.

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